Il difficile problema della riabilitazione delle aree minerarie e della loro destinazione a musei etno-antropologici e di archeologia industriale è, in Sicilia, certamente avvertito così come attestano le specifiche leggi sino ad oggi promulgate dalla Regione siciliana e le varie iniziative volte a mantenere vive nel tempo le testimonianze del lavoro e della vita in miniera.
La provincia di Caltanissetta – in passato fulcro della produzione di zolfo in Sicilia – è il territorio che più d’ogni altro si pone all’attenzione quale punto nodale di una futura ed assolutamente auspicabile rete museale: a documentarne la secolare attività estrattiva, oggi rimangono, infatti, le imponenti strutture esterne delle miniere Gessolungo-Tumminelli, Trabonella e Trabia-Tallarita.
Silenti e grandiosi, affascinanti, ma capaci anche di turbare profondamente, questi fantasmi di un mondo ormai scomparso per sempre si ergono in un paesaggio inaridito dai fumi di quello stesso zolfo che aveva consumato i polmoni dei minatori. Inesorabilmente aggredite dalle ingiurie del tempo, queste macchine possenti sono tuttavia ancora in grado di restituire pienamente la dimensione di un lavoro “impossibile” e “infernale“, l’ immagine di una realtà così lontana da noi eppure relativamente vicina nel tempo ma comunque difficile da comprendere.
Cenni Geologici
Strutturalmente, la Sicilia, può essere suddivisa, in maniera schematica, in avampaese ( parte radicata costituita dai Monti Iblei) ,avanfossa (parte che occupa la porzione meridionale e centrale dell’Isola e meglio nota in letteratura come Fossa o Gabren di Caltanissetta) e le unità tettoniche in falda con vergenza verso sud che ne costituiscono la parte settentrionale. La formazione gessoso-solfifera affiora nel bacino centrale siciliano (Fossa di Caltanissetta) e si sviluppa, in direzione NE-SW, occupando una superficie di circa cinquemila kmq, dei quali quasi la metà ricadenti nel territorio della provincia di Caltanissetta ed i rimanenti in quelle di Agrigento e Enna.
Per effetto dei movimenti orogenetici verificatisi durante il Miocene e il Pliocene, i giacimenti solfiferi – parte mediana della stratigrafia della formazione – hanno subito una serie di sconvolgimenti tanto da rendere in passato difficile solfiferi che la possibilità di una totale, conveniente coltivazione degli stessi. A tali difficoltà s’aggiungevano la presenza di forti quantitativi di acqua – la cui eduzione incideva sensibilmente sui costi di estrazione – e i rischi connessi alle frequenti manifestazione di grisou, il “gas delle miniere“, altamente infiammabili. Il conseguente frastagliamento della formazione ne ha determinato una naturale suddivisione in bacini solfiferi nei quali in passato si è svolta un’intensa, importante attività estrattiva.
La vicenda storica
Le miniere di zolfo siciliane cominciarono a profondità insignificanti e non occorreva lo studio o “l’arte” di persone specializzate per i lavori di ricerca poiché i giacimenti erano facilmente riconoscibili ed altrettanto facilmente se ne poteva ottenere la concessione anche se con contratti a breve termine e insufficienti per costituire una vera attività estrattiva.
In Sicilia il proprietario dei terreni aveva incontestabile padronanza anche del sottosuolo corrispondente: il termine minerario “coltivazione“, infatti, discende direttamente da quello agrario. Lo sviluppo delle attività minerarie crebbe quando molti proprietari di solfare cedettero in affitto (gabella) le loro miniere in cambio di una percentuale di prodotto (estaglio) compresa tra il 15 e il 30%. Poi, nel XIX secolo re Ferdinando III sottopose al pagamento della decima anche i proprietari delle solfare; nel 1808 venne emanato un nuovo dispositivo di tributo denominato regalia ed aperatiur venne definito il permesso ottenuto. La questione fu ripresa un secolo dopo, nel 1927, sotto un altro governo, con la promulgazione di una legge con la quale fu unificato il Diritto minerario, sicchè la proprietà del sottosuolo passò direttamente allo Stato, il quale accordò concessioni perpetue o temporanee per coltivare giacimenti accertati, industrialmente sfruttabili, oppure permessi per la ricerca di sostanze minerali; infine, con l’avvento del Governo Regionale Siciliano, la facoltà di accordare concessioni e permessi minerari fu devoluta all’Assessorato dell’Industria e del Commercio. Nel 1862, intanto, era stato inviato in Sicilia l’ingegnere Eugenio Marchese per istituire il “Servizio Minerario” con sede a Caltanissetta che divenne in seguito il “Corpo Regionale delle Miniere”; nello stesso periodo era giunto nell’Isola l’ingegnere Sebastiano Mottura, con il compito di fondare, nello stesso capoluogo, la ” Regia Scuola Mineraria” che, nel tempo, avrebbe licenziato molto valenti tecnici minerari il cui contributo si sarebbe rilevato decisivo: le ricerche che avevano dato esito negativo in precedenza furono riprese con criteri tecnici e diedero subito eccellenti risultati, mentre i lavori minerari che procedevano a rilento sotto la direzione del praticoni ebbero uno sviluppo notevole: la Sicilia, così, sarebbe divenuta ben presto la più importante produttrice di zolfo del mondo.
Se, infatti, all’inizio del Settecento nell’Isola erano attive circa 6 solfare – in quell’epoca iniziavano i lavori nella solfara “Grande”, denominata in seguito Trabia – già nel 1898 si ebbero in Sicilia 27 pozzi attivi e gran parte delle miniere avevano un direttore tecnico. La scoperta della macchina a vapore di Stephenson aveva dato, peraltro, un ulteriore impulso alla coltivazione delle miniere siciliane, tanto che ne furono aperte 83 nel decennio 1820-1830; nel 1834 le miniere erano 196 con 5678 addetti; nel 1860 erano salite a 300 ed occupavano 16.000 minatori; nei primi anni del Novecento – quando si raggiunse la massima attività nel settore – le miniere attive erano 886 con quasi 40.000 operai impiegati.
All’inizio del secolo XIX l’attività estrattiva era stata interessata da uno sviluppo tecnologico notevole, tanto che in sotterraneo si entrava con i pozzi verticali o i piani inclinati dai quali si dipartivano gallerie orizzontali principali che immettevano in altre gallerie secondarie per raggiungere i cantieri di lavoro. Le vie inclinate collegavano i vari livelli, che distavano l’uno dall’altro da 15 a 20 metri; esse, oltre a stabilire un collegamento tra i vari sottolivelli, servivano come circuiti di aeraggio naturale: sistema di ventilazione che fu sostituito all’inizio del secolo, in gran parte delle miniere, da aspiratori elettrici nei riflussi e negli avanzamenti a fondo cieco.
Giunti in sotterraneo per mezzo dei vari pozzi o della via operaia, i minatori, sotto la sorveglianza dei tecnici minerari e dei capimastri, si avviavano ai cantieri ove il materiale abbattuto era caricato su vagoncini e avviato verso il pozzo di estrazione attraverso il quale era portato all’esterno; qui veniva “grigliato” ed il grosso trasportato ai mezzi di fusione; lo “sterro” veniva impastato, fatto indurire sotto forma di panotti e poi passato alla fusione. I metodi più noti di arricchimento del minerale – i quali erano basati sul punto di fusione dello zolfo (114 C°) e della ganga (900 C°-1500C°) – sono stati le “calcarelle”, i “calcheroni” e i “forni Gill“.
Il sistema delle “calcarelle” consisteva nel bruciare piccoli mucchi di minerale lungo una superficie inclinata dalle quali fuoriusciva, tramite un foro chiamato “punto della morte”, il materiale fuso; nel 1850 tale metodo fu migliorato ricoprendo esternamente i mucchi con polvere e terra di ginesi (materiale di zolfo già trattato con i mezzi di fusione). Con tale metodo, denominato “calcherone”, si ebbe un consumo di zolfo che si perdeva in fumi (anidride solforosa) più contenuto, pari a cioè al 50-40% di materiale. Nel 1886 fu messo a punto il metodo di fusione ideato dall’ingegnere Roberto Gill nel 1880 il quale incontrò il favore di vari industriali. Il “forno Gill”, pur avendo notevolmente diminuito i danni provocati dall’azione dell’anidride solforosa all’ambiente, non riuscì tuttavia a sostituire in maniera completa i “calcheroni” i quali continuarono ad essere utilizzati sino agli anni Cinquanta, epoca in cui i vari sistemi di fusione furono completamente sostituiti con i metodi di flottazione.
Lo sviluppo dell’attività mineraria in Sicilia continuò sino alla I Guerra mondiale ed i primi del nostro coincisero, come già detto, con la massima produzione. Ma, contemporaneamente, negli Stati Uniti d’America l’industria estrattiva – grazie all’introduzione del “metodo Fresh” – riuscì a produrre a basso costo lo zolfo fuso togliendo il mercato alla Sicilia. Tale metodo, in verità, fu applicato anche presso le miniere isolane ma con risultati deludenti, poiché il tenore di zolfo siciliano era troppo povero ed accompagnato dalla ganga (calcite, aragonite, celestina e gesso). La decadenza dell’industria estrattiva, nonostante i numerosi tentativi, si dimostrò irreversibile e dopo la Seconda guerra mondiale le poche miniere che rimasero attive produssero zolfo a costi proibitivi (circa sei volte rispetto a quello ottenuto negli Stati Uniti dalla distillazione frazionata del petrolio).
Negli anni ’70 erano rimaste attive in Sicilia soltanto 12 miniere di cui cinque nella provincia di Caltanissetta-Gessolungo-Juncio-Tumminelli-Testasecca (Caltanissetta), la Grasta (Caltanissetta, Sommatino), Muculufa (Butera), Trabia-Tallarita (Sommatino, Riesi), Trabonella (Caltanissetta) – successivamente chiuse, con due interventi legislativi regionali, tra il 1975 ed il 1988.
Infine, con una legge del 1991, la Regione Siciliana ha posto le promesse per la istituzione di un Parco minerario con sede nelle miniere di Gessolungo, La Grasta e Trabia-Tallarita, mentre la miniera Trabonella è stata presa in consegna dall’Amministrazione Comunale di Caltanissetta e, più recentemente, sono entrate in vigore le leggi con le quali si sono creati i presupposti perché l’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana assicuri il recupero delle infrastrutture esterne e dei complessi boscati delle miniere-museo e di altre realtà minerarie.
Testi:
Salvatore Adamo – Ingegnere capo del Distretto Minerario di Caltanissetta
Luigi Infantino – Assistente tecnico del Distretto Minerario di Caltanissetta